L'UNITÀ NARRATIVA DELLA VITA UMANA
“Gli individui non esistono come solipsisti, anzi ogni nostra azione, ogni nostro pensiero può essere significativo solo all’interno di un complesso contesto sociale, storico e linguistico”.
l’etica in generale potrebbe essere descritta come una riflessione su come dovremmo vivere e cosa significa vivere una buona vita.
L’etica della virtù lo fa da una prospettiva basata sul carattere, il che significa anche che è basata sulla narrativa (narrativa della vita umana): implica raccontare storie su attività e relazioni, come spiega Geoff Moore, professore di etica dell’impresa dell’università di Durham.
Secondo MacIntyre nato a Glasgow nel 1929,professore di Filosofia morale presso l’Università di Notre Dame (Indiana). La vita umana ha una forma determinata, che è la forma di un certo tipo di storia. Le virtù non vanno comprese solo nel modo in cui vengono esibite nel personaggio, ma anche nel posto che possono avere nella storia in cui sono interpretate.
l’argomento principale di MacIntyre è il concetto Aristotelico di polis, che va contro al nostro modo individualistico di vivere nello stato liberale moderno, dove ogni individuo va alla ricerca del proprio bene personale. Per Aristotele l’uomo è un animale sociale quindi che vive in una comunità in cui le virtù non trovano solo il loro giusto posto nell’individuo, ma nella vita della città nel suo insieme in un progetto comune. Il bene umano può essere raggiunto solo all’interno della comunità.
“Mi pongo di fronte al mondo come membro di questa famiglia, di questa casa, di questo clan, di questa tribù, di questa città, di questa nazione, di questo regno. Non esiste alcun “io” separato da queste cose.”
In sintesi, le virtù trovano il loro posto non semplicemente nella vita dell’individuo, ma in quella della città, in quanto l’individuo è intellegibile solo come politikònzôon (Animale politico.
Virtù, Telos ed Eudaimonia
Ogni attività, ogni ricerca, ogni prassi tende verso qualche bene; infatti con “il bene” o “un bene” intendiamo ciò a cui tendono tipicamente gli esseri umani il télos(il termine rappresenta il fine, lo scopo, il senso dell’esistenza umana.)
Che cosa risulta essere, allora, il bene per l’uomo? il bene per l’uomo è quello che Aristotele chiama eudaimoniache viene tradotto come: felicità” o “benessere”; tuttavia, sono state proposte traduzioni più accurate come “prosperità umana” e “beatitudine”.
Ma l’applicare le virtù non è un mezzo per conseguire il finedel bene per l’uomo, ciò che costituisce il bene per l’uomo:
“è un’intera vita umana vissuta nel modo migliore, e l’esercizio della virtù è una parte necessaria e fondamentale di una vita del genere, e non un semplice esercizio preparatorio per assicurarsela.”
In quanto
“Le virtù sono appunto quelle qualità il cui possesso consente a un individuo di raggiungere l’eudemonia, e la mancanza è destinata a vanificare il suo movimento verso questo telos.” In quanto, l’esercizio delle virtù richiede la capacità di giudicare e di fare la cosa giusta nel luogo giusto, al momento giusto e nel modo giusto.”
Per comprendere il concetto centrale di una virtù, dobbiamo guardare al suo sviluppo logico, di cui MacIntyre nel suo saggio “Dopo la virtù”, identifica tre fasi ovvero:
i. La prima fase richiede un resoconto di base di ciò che chiama pratica;
ii. Seconda, un resoconto di ciò che descrive come l’ordine narrativo di una singola vita umana;
iii. Terzo, un resoconto di ciò che costituisce una tradizione morale.
La Pratica
Il concetto di “pratica” di MacIntyre è definito come segue: per “pratica” si intende qualsiasi forma coerente e complessa di cooperativa socialmente stabilita attraverso la quale si realizzano i beni interni a quella forma di attività nel corso del tentativo di raggiungere quegli standard di eccellenza che pretendono ad essa e parzialmente la definiscono. Con il risultato che le capacità umane di raggiungere l’eccellenza e delle concezioni umane dei fini e valori impliciti. Per fare degli esempi, il gioco del filotto non è un esempio di pratica in questo senso, né lo è lanciare abilmente un pallone; ma il gioco del calcio lo è, e lo sono anche gli scacchi. Il lavoro del muratore non è una pratica, l’architettura lo è. Piantare rape non è una pratica; l’agricoltura sì. Così sono le indagini di fisica, chimica e biologia, e così è il lavoro dello storico, così come la pittura e la musica.
Per far un esempio, prendiamo un bambino molto intelligente e decidiamo di insegnargli il gioco degli scacchi anche se non ha molta voglia d’imparare.
Ma al bambino piacerebbero delle caramelle ma una scarsa possibilità di ottenerle. Quindi per invogliarlo gli dico che se gioca con me a scacchi una volta alla settimana, gli darò un euro in caramelle tutte le volte che giocherà. Ma gli dico anche che tutte le colte che vince, gli darò un euro extra di caramelle. A questo punto il bambino giocherà tutte le volte per vincere. Ma visto che l’unico motivo per giocare sono le caramelle, non avrà nessun motivo per non barare.
Nel corso del tempo, il bambino si divertirà a giocare comprendendo i valori specifici del gioco degli scacchi e giocherà esclusivamente per amore di giocare a scacchi, indipendentemente da qualsiasi ricompensa, non giocherà soltanto per vincere, ma per cercare di eccellere in tutto ciò che il gioco degli scacchi richiede. “Adesso se il bambino bara, non sconfigge me, ma sé stesso.”
In poche parole, questo esempio una è distinzione ben precisa tra beni interni ed esterni: il godimento derivato dal gioco stesso è un “bene interno” mentre i dolci o il denaro costituiscono un “bene esterno” (al di fuori della pratica).
Oltre al piacere e alla gioia, il bene interno di una pratica include anche il raggiungimento dei fini propri della pratica e il possesso e l’esercizio delle sue abilità e virtù richieste.
Per MacIntyre definisce la virtù così:
“Una virtù è una qualità umana acquisita il cui possesso e esercizio tende a consentirci di raggiungere quei valori che sono interni alle pratiche, e la cui mancanza ci impediste effettivamente di raggiungere qualsiasi valore del genere.”
Senza virtù, le pratiche non potrebbero resistere al potere corruttore delle istituzioni. Se i beni esterni fossero gli unici ricercati dagli individui, allora uno stato di natura competitivo prevarrebbe come esposto da Hobbes.
La Narrativa umana
MacIntyre nelle sue argomentazioni vede nella narrativa di una singola vita umana un personaggio drammatico che nel suo ruolo rappresenta la sua comunità, e allo stesso tempo, anche la comunità stessa, è un personaggio drammatico che mette in scena la narrazione della vita della singola vita umana.
L’individuo diventa parte di una tradizione, ereditando il passato, correggendolo e trascendendolo al presente, che a sua volta intraprenderà lo stesso processo secondo i punti di vista futuri.
La differenza fondamentale tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi, è che a differenza degli altri esseri viventi, gli esseri umani possono essere ritenuti responsabili di ciò di cui sono autori.
Ad esempio, ci spiega McIntyre, sono alla fermata dell’autobus e il tizio vicino a me dice ad Alta voce: “il nome della comune anatra selvatica è “histrionicus histrionicus”. Il problema non è il significato della frase, quella è chiara, il problema è rispondere alla domanda, qual era la sua intenzione quando ha pronunciato la frase?
Quindi se non è una forma di pazzia, può essere resa comprensibile se una delle seguenti ipotesi è vera: Mi ha scambiato per qualcuno che ieri in biblioteca gli ha chiesto se sapesse il nome latino dell’anatra selvatica;oppure è appena stato dal suo analista che per superare la sua timidezza lo ha esortato a parlare con uno sconosciuto e gli ha detto di fare la prima domanda che gli venga in mente;o è una spia straniera e quella è la parola d’ordine per identificare il suo corrispondente.
In ciascuno di questi casi la frase pronunciata diventa comprensibile perché trova il suo posto in una narrazione. Un atto linguistico come uno scopo ha bisogno di un contesto e questo contesto per essere reso comprensibile avviene all’interno di una conversazione.
Nella conversazione i partecipanti sono gli attori, e anche coautori in accordo o no della loro forma di produzione.
Barbara Hardy, nel sostenere la stessa tesi, ha Scritto che
“noi sogniamo in forme narrative, fantastichiamo in forme narrative, ricordiamo, presagiamo, speriamo, disperiamo, crediamo, dubitiamo, pianifichiamo, correggiamo, critichiamo, costruiamo, chiacchieriamo, Impariamo, odiamo e amiamo attraverso forme narrative” (Hardy, 1968, Towards a Poetics of Fiction: An Approachthrough Narrative.)
Il concetto di individualità risiede in un sé, la cui unità narrativa è collegata dalla nascita alla vita alla morte, come una narrazione dall’inizio alla metà alla fine. Come esseri umani, viviamo tutti le nostre narrazioni nelle nostre vite, e poiché le nostre vite sono comprese in termini di narrazioni, le narrazioni sono ciò di cui abbiamo bisogno per comprendere le azioni degli altri.
A differenza delle invenzioni letterarie, le storie vengono vissute prima di essere raccontate, e come agenti siamo attori e autori e coautori delle nostre storie e allo stesso tempo recitiamo parti subordinate nelle storie di altre persone. Viviamo le nostre vite individualmente e anche nel nostro rapporto con gli altri in possibili futuri condivisi. Ci troviamo in situazioni che non abbiamo scelto e facciamo parte di azioni non prodotte da noi. Ogni persona anche se protagonista del proprio dramma, si trova anche a recitare in parti secondarie nei drammi di altre persone e ciascun dramma pone vincoli agli altri.
L’uomo di MacIntyre è essenzialmente un animale che racconta storie ed è il soggetto di una narrazione che va dalla nascita alla morte ed è responsabile delle proprie azioni e delle proprie esperienze che compongono la sua vita.
“Quindi l’identità personale è esattamente quell’identità presupposta dell’unità del personaggio che è richiesta dall’unità della narrazione. Senza un’unità del genere non ci sarebbero soggetti in grado di costruire temi su cui raccontare storie.”
La ricerca narrativa
L’unità di una vita umana, nella conclusione di MacIntyre, consiste nell’unità di una narrazione concretizzata in un’unica vita. Il bene di una singola vita è una vita vissuta nella sua unità e portata a compimento. “L’unità di una vita umana è l’unità di una ricerca narrativa”e gli unici criteri di successo o fallimento in una vita umana nel suo insieme sono i criteri di successo o fallimento in una ricerca narrata o da narrare.
Ma una ricerca di cosa? C’è bisogno del concetto di tèlos(scopo) finale. C’è bisogno di estendere la nostra comprensione dello scopo e del significato delle virtù. Per capire cosa vogliono dire integrità e costanza nella vita in cui viviamo che rappresentano il genere di vita che ci porta alla ricerca del bene. La ricerca è un processo che serve per capire noi stessi.
“Perciò le virtù vanno intese come quelle disposizioni che non solo sorreggono le pratiche e ci consentono di raggiungere i valori interni ad esse, ma ci aiutano anche nel genere di ricerca del bene che quindi interessa permettendoci di superare i mali, i pericoli, le tentazioni e le distrazioni in cui ci imbattiamo, e ci forniscono una conoscenza crescente di noi stessi e del bene.”
Inoltre, abbiamo tutti storie diverse, di conseguenza circostanze sociali diverse, che ci fanno avvicinare alla vita in base alle nostre condizioni sociali e da essa ci deriverà la nostra identità sociale. Quindi ognuno di noi è anche un portatore di una di un’identità sociale:
“Sono il figlio o la figlia di qualcuno, il cugino o lo zio di qualcun altro; sono un cittadino di questa o quella città, un membro di questa o quella gilda o professione; appartengo a questo clan, a quella tribù, a questa nazione. Perciò quello che è bene per me deve essere il bene per chi ricopra questi ruoli. In quanto tale, io eredito dal passato della mia famiglia, della mia città, della mia tribù, della mia nazione, una molteplicità di debiti, di retaggi, di legittimi obblighi e aspettative. Essi costituiscono il dato della mia vita, il mio punto di partenza morale. E in parte questo a conferire alla mia vita la sua particolarità morale.” (p.263)
Mi ritrovo, che mi piaccia o no, parte di una storia, portatrice di una tradizione.
Conclusione
MacIntyre conclude che il bene deve essere trovato ed esposto in quelle azioni e pratiche che sono incarnate nell’unità narrativa di una vita umana e di una tradizione morale. Leggi e virtù si possono trovare solo se si entra nella tradizione umana di una comunità con la visione di un bene comune, non far parte della comunità significa non trovare affatto il bene. Poiché il bene è nel sé come parte delle attività e delle pratiche che condividiamo in una comunità, al di fuori di essa, il bene delle attività e delle pratiche non può essere esercitato, quindi sarebbe come cercare di trovare il bene al di fuori di séstessi.
Prendendo in considerazione la teoria di MacIntyre, il bene umano può essere trovato all’interno della comunità, indipendentemente dal quadro culturale o storico.
Per rispondere alla domanda “che cosa devo fare?” Devo essere in grado prima di tutto di rispondere alla domanda “di quale storia o di quali storie mi trovo a fare parte?”
La narrazione della vita di ogni persona fa parte di un insieme di narrazioni interconnesse.
In che cosa consiste l’unità di una vita individuare? Questa unità è l’unita di una narrazione che incarna una singola vita.
Saudações a todos! É Renato Romeo. Como comentei ontem, quero propor agora a primeira questão de nosso Fórum:
É comum usarmos em nossas falas cotidianas as palavras “conversa”; “discussão”; “debate” e “diálogo”. Muitas vezes até como sinônimos. Contudo, há diferenças conceituais entre elas. Quais são? Qual a utilidade de compreendermos tais distinções em nosso dia a dia profissional e pessoal?
Vale pesquisar em livros, artigos e na internet, mas escolha boas fontes. Só não vale copiar e colar. Coloque com suas próprias palavras seus achados, reflexões, pontos de vista e conclusões. Também comente as postagens de seus colegas. Vale complementar, colocar questões e reflexões. Só não vale apenas dizer “concordo”, “discordo”, “parabéns”… A ideia é aprofundar a compreensão sobre estes conceitos. Espero que todos aceitem este meu convite! Excelentes reflexões a todos!
Come non essere d’accordo con Renato e qui se mi fermo al solo dire sono d’accordo, finisco nella contraddizione della sua proposta! Ma il mio proposito è quello di ringraziare Renato, che non è solamente d’accordo, quella è la parte facile, quello che Chiama copia e incolla!! Il suo commento aggiunge valore all’articolo, aggiunge la sua continuazione e domande comuni che tutto dovremmo farci. Renato Romeo è un consulente filosofico di gran fama in Europa, America Latina e Nord America per visitare il suo sito e leggere i suoi articoli:
vendasb2b.com.br
Qui sotto utilizzando Google translate il commento di Renato, per favore leggete.
Saluti a tutti! È Renato Romeo. Come ho accennato ieri, voglio proporre ora la prima domanda del nostro Forum:
È comune usare le parole “conversazione” nel nostro discorso quotidiano; “discussione”; “dibattito” e “dialogo”. Spesso anche come sinonimi. Tuttavia, ci sono differenze concettuali tra loro. Quali sono? A che serve comprendere tali distinzioni nella nostra vita quotidiana professionale e personale?
Vale la pena fare ricerche su libri, articoli e su Internet, ma scegli buone fonti. Non vale la pena copiare e incollare. Metti le tue scoperte, riflessioni, punti di vista e conclusioni con parole tue. Commenta anche i post dei tuoi colleghi. Vale la pena integrare, fare domande e riflessioni. Non basta dire “d’accordo”, “non d’accordo”, “complimenti”… L’idea è approfondire la comprensione di questi concetti. Spero che tutti accettino il mio invito! Ottimi pensieri a tutti!
Todos os políticos deveriam ter que ler Aristóteles antes de iniciarem suas pretensões. Alcebíades Primeiro também deveria ser leitura obrigatória. Seria evitado muitos sofrimento e desabores apenas com estas duas medidas simples.